giovedì 22 maggio 2014

La Tangentopoli che c'è in noi





Sconcertante, ma non sorprendente, l’indagine portata avanti dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini e dai pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio secondo cui gli affari milanesi connessi all’Expo erano gestiti da una banda di politici di ogni fazione ben saldati ai propri partiti di riferimento. Chiunque voleva entrare in quel business doveva passare attraverso questa «cupola» la quale agiva come una dogana: se volevi avere a che fare con l’Expo dovevi passare da questi personaggi i quali, attraverso le loro conoscenze, garantivano appalti e affari sicuri in cambio di mazzette. A riguardo, è molto indicativo il resoconto dell’interrogatorio all’imprenditore vicentino Enrico Maltauro: «Al posto dei grandi partiti, dove almeno si sapeva con chi dover parlare, un’impresa come la sua si trova a dover invece subire il potere d’interdizione di una pluralità di centri di potere parcellizzati, rispetto ai quali sarebbe (a suo avviso) inevitabile e indispensabile dotarsi di una chiave di interpretazione, di una sorta di traduttore di esigenze, insomma di un lobbista capace di capire chi avvicinare e come conquistare il via libera. Maltauro afferma che il suo lobbista era Cattozzo, una persona che gli era stata indicata dal senatore Luigi Grillo, e che a sua volta gli aveva poi presentato Frigerio».
Una «cupola» che teneva i rapporti praticamente con tutto l’arco parlamentare: Frigerio e Grillo per FI (ambedue sono ex-parlamentari), Greganti per il Pd e Cattozzo nientemeno che per l’Udc (di cui è ex-parlamentare, ora invece sembra di area Alfano). Una forma di larghe intese dove non ci si crea problemi di ordine ideologico nel momento in cui si capisce che si possono ottenere comuni interessi personali. Inoltre, cosa più sottovalutata, il mondo che li circonda (dal manager all’imprenditore fino al più misero cittadino) sa benissimo che le cose funzionano in questo modo, sa benissimo che per entrare in certi contesti (l’Expo è soltanto il caso più consistente) il sostegno di qualche personaggio politico è il prezzo da pagare, spesso a suon di quattrini.
Il mondo della corruzione in Italia non conosce barriere, limiti o differenze: Nord e Sud, destra e sinistra, povero e ricco, giovane e anziano, la metastasi della mazzetta sta dappertutto ed ha invaso ogni settore della vita quotidiana. Come se non bastasse, le difficoltà economiche del Paese rendono ancora più soffocante il problema; qualche tempo fa il procuratore generale della Corte dei Conti, Furio Pasqualucci, ha spiegato: «In tempi di crisi come quelli attuali» il peso delle tangenti è tale «che da far più che ragionevolmente temere che il suo impatto sociale possa incidere sullo sviluppo economico del Paese» perfino oltre le stime «del servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della Funzione pubblica, nella misura prossima a 50/60 miliardi di euro all’anno costituenti una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini». 60 miliardi è anche la stima effettuata dalla Commissione Europea, la quale dice anche che la corruzione in tutta Europa si aggira intorno ai 120 miliardi annui. Con le dovute precauzioni si può affermare quindi che il 50% della corruzione presente in tutta Europa sia confinata solo nel nostro Paese.
Il successore di Pasqualucci, Salvatore Nottola, ha stimato che le mazzette aumentano del 40% il costo delle grandi opere. Altra stima indicativa è quella della Cgia di Mestre secondo cui, partendo dai 233,9 miliardi di euro del programma delle infrastrutture strategiche 2013-2015, le bustarelle peseranno per 93 miliardi in più, il 6% del Pil corrispondente indicativamente a 1543 euro per ogni italiano.
Eppure gli italiani non sono sprovveduti: sempre secondo la Commissione Europea il 97% degli italiani (il 21% in più rispetto alla media europea) considera dilagante la corruzione nel nostro Paese e l’88% dei cittadini pensa che la corruzione e le raccomandazioni siano il modo più semplice per accedere ai servizi pubblici. Leggendo sempre questo studio, si scopre che alla domanda: «Pensa che la corruzione sia un problema per la sua azienda quando fa affari in Italia?» il 49% degli intervistati risponde: «È un problema abbastanza o molto serio».
Non vi bastano questi numeri? Secondo lo studio «Eurobarometer 2011» il 12% degli italiani si è visto rivolgere «almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti».
Sono passati più di vent’anni dagli scandali di Tangentopoli che diedero il colpo di grazia al sistema partitico della «prima repubblica», sistema disprezzato e cestinato proprio in virtù delle mazzette; nonostante ciò, l’andazzo della «seconda repubblica» è analogo (se non peggiore). Anzi, secondo l’organismo internazionale «Transparency» (preposto allo studio della percezione della corruzione nei vari paesi) nel 1995, in piena Tangentopoli, l’Italia stava al 33esimo posto dei Paesi più virtuosi. Ebbene, nel 2012 il nostro Paese stava alla 72esima posizione, a otto distanze dal Ghana.
Cosa significa questo? Significa che l’indignazione che inizialmente suscitavano le bustarelle è andata via via scemando lasciando il posto alla rassegnazione, all’omertà e sempre più spesso alla complicità. Ironia della sorte, più il Paese diventa corrotto e più gli italiani sembrano abituarsi al problema.
D’altronde non potrebbe essere diversamente visto che la corruzione non viene punita. Corruttori e corrotti sanno di agire nel silenzio generale e nel disinteresse delle procure. Secondo i dati del ministero della Giustizia, tra il 1996 e il 2006 le condanne per peculato sono passate da 608 a 210, per corruzione da 1159 a 186, per concussione da 555 a 53, per abuso d’ufficio da 1305 a 45. Nelle realtà locali la situazione è ancora più desolante: in Lombardia le condanne per corruzione sono passate da 421 a 38, in Sicilia da 123 a 3 e via di questo passo.
Oltre il danno, la beffa: secondo uno studio di Pier Camillo Davigo e Grazia Mannozzi i pochissimi condannati hanno visto nel 98% dei casi meno di due anni di prigione. Quasi nulla.
Consapevole del problema, l’Europa è dal 1999 che ci chiede di istituire un organismo per combattere la corruzione. La storia di questo organismo è tipica di tanti enti italiani: nel 2003 è nato  l’«Alto commissario per la prevenzione e il contrasto alla corruzione», nel 2008 viene sostituito dal Saet (Servizio per l’anticorruzione e la trasparenza) contestato dagli osservatori perché ritenuto non indipendente, nel 2009 il Saet viene sostituito dal Civit (Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche) e, ultimo in ordine di tempo, nel 2012 nasce l’Autorità anticorruzione. Tanti cambi di nome a cui hanno corrisposto miseri risultati. Anzi, è molto interessante leggere cosa denunciava l’Authority a un anno dall’insediamento: «Il livello politico non ha mostrato particolare impegno nell’attuazione della legge. Nonostante i reiterati solleciti dell’Autorità, non tutti i ministeri, gli enti pubblici nazionali, le Regioni, gli enti locali hanno nominato il responsabile della prevenzione della corruzione, che pure svolge un ruolo cruciale per l’attuazione della normativa…non hanno nominato neppure il presidente dell’Authority limitandosi a una prorogatio  dei vertici della vecchia Secit nominati da Brunetta, fra i quali c’è anche quell’Antonio Martone coinvolto, a torto o a ragione, nel caso della P3. A dimostrazione che un conto sono le chiacchiere e un altro i fatti», come se non bastasse «giorno dopo giorno vengono svuotati i poteri dell’organismo sui conflitti d’interesse, i piani anticorruzione, le incompatibilità tra amministratori e società miste o in house, magari con la scusa di risparmiare prebende».
E cosa ci si può aspettare da una politica legata a doppio filo ai vari Frigerio e Greganti?(1)


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(1) I numeri sono stati estrapolati da Gian Antonio Stella, sul «Corriere della Sera» del 09/11/2013, da Gian Antonio Stella, sul «Corriere della Sera» del 04/02/2014, da uno schema apparso sul «Corriere della Sera» del 04/02/2014, da Luigi Offeddu sul «Corriere della Sera» del 04/02/2014. Il riassunto dell’interrogatorio di Maltauro è stato preso da Luigi Ferrarella, sul «Corriere della Sera» del 13/05/2014. Le denunce dell’Anticorruzione sono state inizialmente pubblicate sul «Sole 24Ore»

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